Ospite a Trieste della rassegna "Horti Tergestini"

LIBERESO GUGLIELMI: IL GIARDINIERE
CHE SUGGERIVA STORIE A CALVINO

di Alessandro Mezzena Lona (Il Piccolo, 23 aprile 2008 )

 


Sembrava un simbolo della libertà, quando Italo Calvino lo vide per la prima volta.

Capelli lunghi, calzoni corti, Libereso Guglielmi era uno di quei tipi che possono sbucare all'improvviso da qualche paradiso terrestre. Figlio di un anarchico che tanto sarebbe piaciuto a Lev Tolstoj, si muoveva tra piante e fiori come passasse in rassegna i suoi migliori amici. A Villa Meridiana di Sanremo, dove viveva la famiglia Calvino, era entrato per fare il giardiniere. E non aveva ancora compiuto quattordici anni.
Quel ragazzo lasciò un segno profondo nella fantasia dello scrittore delle "Città invisibili". delle "Cosmicomiche». Tanto che alcuni anni dopo, nel 1947, Italo Calvino decise di trasformarlo nel protagonista di una delle storie più belle contenute nel volume einaudiano dei "Racconti": "Un pomeriggio, Adamo". Che cominciava proprio con la descrizione di Libereso: "II nuovo giardiniere era un ragazzo coi capelli lunghi, e una crocetta di stoffa in testa per tenerli fermi. Adesso veniva su per il viale con l'innaffiatoio pieno, sporgendo l'altro braccio per bilanciare il carico".

Normale, quindi, che Libereso Guglielmi si porti appresso il nomignolo di "giardiniere di Calvino". Anche grazie a un libro-intervista. "Libereso, il giardiniere di Calvino" appunto, scritto da Ippolito Pizzetti e pubblicato dall'editore Muzzio nel 1993.
Ma lui, in realtà, è molto di più. Il suo sapere immenso sulla botanica, sulla floricoltura, l'ha messo assieme battendo boschi e prati, pascoli di montagna e giardini in giro per l'Italia e per il mondo, dall'Inghilterra al Marocco, dall'India all'Indonesia.
Convinto che la terra va conosciuta, curata, difesa, e spaventato da un mondo che fa tabula rasa dei paesaggi più belli per fare posto a colate di cemento, a villaggi vacanze senza un pizzico di grazia, a porti dedicati ai turisti ormai stanchi di tutto, l'ottantatreenne Libereso non disdegna ad andare controcorrente: "Ci fanno credere a quello che non esiste. Dicono che in Italia stiamo male. Non ho mai visto tanti ragazzi con il cellulare. Per non parlare di quelli che vanno a scuola con la moto".

Ospite a Trieste di "Horti Tergestini", la mostra mercato nel parco di San Giovanni (promossa dalla Provincia di Trieste, organizzata dalla cooperativa agricola Monte San Pantaleone e dall'Associazione orticola del Friuli Venezia Giulia "Tra fiori e piante", con la collaborazione della sesta circostrizione del Comune di Trieste), Libereso Guglielmi si è soffermato a parlare soprattutto con i ragazzi di alcune scuole.

Da bambino ho scoperto il valore della terra, racconta Libereso Guglielmi, il sorriso sempre pronto a fiorire sul suo volto incorniciato da una gran massa di capelli e da una barba bianchi -. L'ho imparato stando seduto con i vecchi della mia Liguria, seduti davanti alla porta di casa. O quando si andava in montagna con i muli. Non era, quello, un sapere preso dai libri. Non come oggi. che sono tutti botanici, che imparano qualcosa dalla televisione, da Internet, e poi lo rielaborano a modo loro. Allora parlavano delle piante con una conoscenza diretta. I funghi ho imparato a conoscerli sul posto, dal vero. Era un'altra vita. Quello sì che si poteva chiamare comunismo.

Comunismo?
Sì. lo stare insieme, il condividere le cose. Adesso chi dice comunismo allude a tutt'altra cosa. Si riferisce a un Potere dittatoriale, a uno Stato di polizia. Ma il mio comunismo è quello della gente che ho conosciuto da bambino. Un altro mondo.

E com'era il suo mondo?
Io sono di Bordighera. Uscivo da casa, percorrevo pochi metri, salivo su un muretto e da lì, fino a Ventimiglia, avevi una visione infinita di alberi di limoni. Di aranci a distesa. C'era l'asino che, bendato, girava la ruota della macina. C'erano le palme, i pescatori che tiravano le reti, la gente che beveva l'acqua dai pozzi. C'erano un sacco di stranieri e noi ci arrangiavamo a parlare un po' tutte le lingue. Poi è arrivato il fascismo: adesso, tutto questo non esiste più.

Suo padre...
Era un anarchico tolstojano. Per questo mi chiamo Libereso. Lui, quando sono nato, stava imparando l'esperanto: da lì ha preso il mio nome che significa "assolutamente libero di pensiero, parola e azione". Quando avevo cinque anni ci siamo trasferiti da Bordighera a Sanremo, dove avevamo una grande campagna. Un giorno di lì è passato Mario Calvino".

Il padre dello scrittore.
Dirigeva la Stazione sperimentale di floricoltura e ricerca sulle piante tropicali. Era un grand'uomo. Mi fa rabbia quando lo liquidano come un semplice agronomo. Come conosceva le piante lui... E poi, partiva con un carretto pieno di libri e andava in montagna a distribuirli per insegnare alla gente la floricoltura. Era stato in Messico, a Cuba, era conosciuto e stimato in mezzo mondo.

Come l'ha conosciuto?
Un giorno passando da casa nostra rimase colpito dalle aiuole che avevamo fatto noi ragazzini. Io e mio fratello. Avevo neanche 14 anni. Ci offrì una borsa di studio, cosi cominciai a occuparmi di floricoltura ligure.
Non solo, ma entrai a Villa Meridiana, dove viveva la famiglia Calvino.


Italo a quindici anni con il padre Mario, la madre Eva Mameli e il fratello Floriano nel giardino di Villa Meridiana a Sanremo.

 

È lì incontrò Italo?
Aveva un paio d'anni più di me. Per un lungo periodo l'ho visto ogni giorno. Era un tipo piuttosto chiuso, scontroso. Non gli interessavano molto le piante. Era molto più incuriosito dai disegni che facevo per la bacheca anarchica. Del resto, anche lui amava disegnare.

Le ha dedicato un racconto: "Un pomeriggio, Adamo".
Si, l'ha scritto nel 1947 ed è uscito nel volume einaudiano dei "Racconti". Recentemente è venuta una signora dalla Germania, da Amburgo. Non voleva credere che fossi proprio io quel Libereso, che fossi ancora vivo. Il racconto è molto bello perché coglie due mentalità diverse: quella del ragazzino anarchico, che ero io, e quella dell'adolescente fortemente legata alla religione, che era Maria-nunziata. che faceva i lavori in casa.

Una storia da Paradiso terrestre...
"Il giardino di Villa Meridiana era veramente incantato, con quella gigantesca buganvillea. Lì ho conosciuto anche la mamma di Italo, Eva Mameli. Figlia di atei sardi. Una gran persona. La prima donna a insegnare botanica in una cattedra universitaria italiana. Tutti e due i genitori di Calvino erano liberi pensatori, profondamente anticlericali. Italo, dopo l'asilo, venne iscritto alle scuole elementari valdesi".

È rimasto lì per un lungo periodo?
Ho lavorato con i Calvino per una decina d'anni. Io seguivo soprattutto il professor Mario. Mi ha insegnato un sacco di cose, completando quelle conoscenze che mi avevano trasmesso già mio nonno e mio padre.
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Italo Calvino inventava le sue storie o rielaborava la realtà?
C'è tantissimo della sua vita, della sua giovinezza, nei libri. II Barone rampante, il Visconte dimezzato erano tratteggiati sulle figure di alcuni suoi parenti. Uno zio, ad esempio, aveva un carattere estremamente mutevole. Era fatto cosi: mi diceva "vai a mangiare la frutta", e poco dopo "disgraziato, perché mi hai mangiato tutta la frutta!'. Era diviso in due: dimezzato, appunto, come il Visconte".

E il Barone rampante?
Era un altro parente che stava sempre sugli alberi. Ma un po', quell' idea devo avergliela data anch'io: quando gli ho raccontato che, prima di andare a lavorare, all'alba noi ragazzi ci immergevamo in un bosco. E lì, gli alberi erano talmente fitti che non serviva scendere. Potevi passare di ramo in ramo per raccogliere pigne e legna, fino a quando ne avevi abbastanza. Italo era un grande ascoltatore. Non gli sfuggiva nulla. Erano le storie ad affascinarlo, lui non voleva fare lo stesso mestiere dei genitori. Sognava di diventare giornalista, di scrivere.


E poi?
Potrei ricordare che le formiche argentine, che hanno dato il titolo a un altro suo splendido libro, sono presenti da noi in Liguria. Un amico del professor Mario aveva costruito uno strano aggeggio per attirarle dentro un recipiente, pieno di acqua e petrolio, in cima al quale c'era una testa di pesce. Italo era affascinatissimo da questo racconto. Lo stesso vale per il Lupo Rosso del "Sentiero dei nidi di ragno". L'ho conosciuto, il suo vero nome è Sergio Grignolio".

A un certo punto lei ha lasciato l'Italia.
Prima, dal 1951 al 1958 sono stato a Napoli, chiamato dai miliardari brasiliani Matarasso per i quali dirigevo un'azienda di orchidee, e un'altra nel Cilento che produceva garofani. Poi, un giorno, mio fratello mi ha convinto a raggiungerlo in Inghilterra, dove dirigeva un'azienda di fiori.

E' partito così?
Ci sono andato convinto di fermarmi una settimana. Poi è finita che ho conosciuto una brava ragazza. L'ho sposata ed è stata lei a insegnarmi l'inglese, a segnalarmi che il giardino botanico Myddelton House stava cercando un assistente capo giardiniere. Lì ho lavorato anche con lo zio di Camilla Parker Bowles. il grande amore del principe Carlo d'Inghilterra. Al tempo stesso, dirigevo il giardino delle specie dell'università".

Perché è tornato in Italia?
Mio padre stava male e poi è morto. Così siamo ritornati in fretta e furia. Il bello è che in Inghilterra dialogavo con i massimi esperti universitari di botanica, a Sanremo, siccome non rientravo nelle loro simpatie, mi hanno messo a tirare una carretta con il letame. Cosa dovrei dire dell'Italia? Per fortuna i brutti pensieri li scacciano il ricordo di Mario Calvino, di Antonio Rubino.

Ha conosciuto Rubino?
Sì. Era di Sanremo. Il grande disegnatore, che ha diretto "Topolino" e ha collaborato al "Corriere dei Piccoli'. Un giorno mi ha visto disegnare. Ed è andato su tutte le furie, pensando che lo copiassi, che gli volessi rubare un personaggio. In realtà, poi, piano piano mi ha preso m simpatia.

Adesso che ha 83 anni cosa fa?
Sono in pensione e ho un piccolo giardino con più di 400 specie di fiori e piante. Ma quello che più mi piace è raccontare le meraviglie della botanica, i segreti degli insetti ai bambini.


Un'immagine dello splendido giardino di Villa Meridiana, dove abitavano i Calvino